
Il termine ipocondria ha un’origine antica, risale infatti al 350 a.C. e indicava quelle parti dell’addome umano che stanno immediatamente sotto le costole, dove sono situati i visceri, il fegato, la cistifellea, la milza, che erano considerati la sorgente di “fumi melanconici”. Attualmente il DSM – 5 (il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) ha denominato questo fenomeno come disturbo da ansia di malattia, anche per ridurre lo stigma associato al termine storico che rimanda all’idea di un “malato immaginario”.
In generale tale problematica può essere definita come un’eccessiva e persistente preoccupazione per la salute, le malattie ed il corpo, cui si associano la paura ed il sospetto di poter essere vittima di una seria patologia organica. Ma questo disturbo è molto complesso e prevede varie dimensioni tra quali:
- preoccupazioni corporee che si manifestano con un costante ascolto del proprio corpo, che nei casi più gravi porta ad una perdita di interesse per le altre persone e per le quotidiane attività. Ovviamente, come succede anche per l’attacco di panico, più si ascolta il corpo, maggiore sarà la probabilità di percepire dei sintomi o delle reazioni fisiologiche innocue (ad esempio se iniziaste ad ascoltare il vostro battito cardiaco potreste percepire una leggera accelerazione).
- Convinzione o sospetto per la presenza di una malattia. I soggetti ipocondriaci temono di essere affetti da patologie con un decorso cronico ed un esito fatale, in un futuro relativamente distante, nonostante non ci siano prove organiche che sostengono tale ipotesi.
- Insensibilità alle rassicurazioni. Spesso le persone che soffrono di ansia per la salute non vengono rassicurate da esiti negativi degli esami svolti o dai pareri medici. Questo in quanto vi sono credenze disfunzionali per cui la “buona salute” corrisponderebbe ad uno stato ideale in cui non vi siano sintomi o disagi di alcun tipo.
- Solitamente le persone che soffrono di tale disturbo lamentano vari sintomi somatici, a vari organi, parti del corpo che possono essere più o meno specifici.
- I comportamenti ipocodriaci sono numerosi e disparati, ma alla base vi è un controllo sul proprio stato di salute e le continue rassicurazioni.
Il disturbo d’ansia di malattia può emergere a qualunque età, ma si pensa che l’età più comune di esordio sia la prima età adulta. Il decorso naturale è solitamente cronico, con i sintomi che vanno e vengono, anche se talora si verifica una completa remissione.
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Ma come si struttura il disturbo?
Secondo un modello cognitivo comportamentale le persone che sviluppano tale patologia, hanno la tendenza a interpretare catastroficamente e in modo erroneo le informazioni relative al proprio corpo e alla propria salute. Queste distorsioni cognitive possono derivare dal tipo di educazione ricevuta, solitamente “allarmistica”, o in cui uno o entrambi i genitori sono stati iperprotettivi e spaventanti.
Il circolo vizioso si instaura in quanto questi soggetti, a causa di un evento scatenante interno o esterno (come un normale sintomo o un servizio sentito alla radio), iniziano a porre l’attenzione selettivamente su aspetti che confermino le loro convinzioni di avere una malattia, aumentando di volta in volta l’ansia e i sospetti. Inoltre, l’attivazione fisiologica indotta dalle preoccupazioni riguardo alla propria salute, può essere letta come conferma di un proprio stato di malessere aumentando a sua volta l’attivazione stessa.
Anche i ripetuti controlli medici possono, da un lato, abbassare il livello d’ansia, quando i pazienti vengono rassicurati, ma portare tutta l’attenzione sulla sospetta patologia, limitando notevolmente le attività quotidiane e riducendo le interazioni interpersonali, portando il soggetto a comportarsi come se avesse davvero la malattia tanto temuta.
Come uscire allora da tali circoli viziosi?
L’approccio cognitivo comportamentale pone le sue basi sullo sviluppo di una solida alleanza terapeutica, che è sempre importante per un valido percorso terapeutico, ma che lo diventa ancora di più di fronte a questi paziente, che si mostrano così diffidenti. Iniziare il lavoro con una educazione su come lo stress, le emozioni, la scarsa attività fisica e delle cattive abitudine alimentari possano innescare autentici sintomi fisici o amplificare gli esistenti, può favorire la relazione.
Successivamente, dal punto di vista cognitivo, si procede identificando i pensieri catastrofici per sostituirli con alcuni più funzionali, ignorando lo stimolo terrifico e proseguendo con le proprie attività quotidiane. Il trattamento deve essere poi completato con interventi comportamentali, che permettano al paziente di “evitare di evitare” tutti gli stimoli ritenuti ansiogeni e non utilizzare i controlli e le rassicurazioni.
Grazie a tale trattamento è possibile gradualmente fronteggiare le paure e interrompere i circoli viziosi che mantengono il disturbo.